Mondo del lavoro
tra stereotipi
e luoghi comuni
Mondo del lavoro
tra stereotipi
e luoghi comuni
I giovani non possono cambiare il mondo
ULTIMO PODCAST
L’intelligenza artificiale? Farà sparire un sacco di lavori
Questione di tempo prima che prendano il nostro posto.Pensare all’Intelligenza Artificiale applicata all’ambito lavorativo spesso ci fa venire i brividi: abbiamo paura che gradualmente, verremo sostituiti da qualche robot capace di svolgere il nostro mestiere meglio di noi. Eppure, lo sviluppo tecnologico non sembra arrestarsi, al contrario, irrompe sempre più nel nostro quotidiano.
Ciò significa che tutto è perduto? Decisamente no.
In questo episodio di Job Busters scopriremo perché, anziché una minaccia per il futuro, l’AI potrà rivelarsi una preziosa alleata. Lo faremo insieme a Stefano Quintarelli, imprenditore seriale, autore, professore di sistemi informativi ed esperto di AI.
Diversità e inclusione? Un miraggio
Già è tanto trovare un lavoroIn Italia le politiche aziendali di Diversity & Inclusion sono considerate un vero miraggio, ma questo non significa che non esistano. Anzi, in questo episodio di Job Busters incontreremo tre persone che si battono per questi diritti tutti i giorni: Claudio Guffanti – fondatore della startup Unlimited Views, la nostra fidata Chiara Carcano – Senior Recruiter Adecco, e Benedetta De Luca – Fashion Influencer e Disability Model.
Con l’arte non si mangia
L’arte non paga le bolletteMa perché fare l’artista sarebbe un lavoro? Nonostante i numerosi e radicati pregiudizi, l’arte ha in realtà tutte le carte in regola per essere considerato un mestiere a 360°. A confermarlo, in questo episodio di Job Busters, tre ospiti d’eccezione che con quest’ambito s’interfacciano quotidianamente: il divulgatore Alessandro Carnevale, lo Street Artist Lucamaleonte e l’Art Strategist Eleonora Rebiscini.
Perché di arte si può vivere.
Se fai il contadino sembri mio nonno
I contadini non sono di sicuro giovaniIn questo episodio di Job Busters facciamo due chiacchiere con Andrea Tagliabue, che ha rinunciato al suo lavoro nella City londinese, per avviare, in Brianza, The Banker’s Jam, un’azienda agricola in costante evoluzione. Ma non è tutto: insieme alla leader di Coldiretti Giovani, Veronica Barbati, scopriremo perché quello del contadino può essere uno dei mestieri più affascinanti al mondo.
L’apprendistato? Non offre nessuna garanzia
Per i giovani una situazione precariaPer i giovani il modo più comune per accedere al mondo del lavoro è attraverso l’apprendistato, ma non senza pochi dubbi circa la stabilità di questo contratto. Eppure esistono tutele in Italia a protezione degli apprendisti. Scopriamole insieme.
A scuola? Non si impara mai nulla di interessante
L’insegnamento sarà sempre noiosoÈ vero, la scuola spesso non ci prepara ad affrontare nel modo giusto il mondo e le sue sfide. C’è però chi progetta di rivoluzionare il sistema scolastico dando maggiore spazio all’insegnamento di Soft Skill. Scopriamo insieme come.
Hai grandi ambizioni? Fly down!
Voglio fare il lavoro dei miei sogni: sì, ma quale?
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Si potrebbe riassumere così lo scetticismo che molti nutrono nei confronti di coloro che fanno di tutto per cercare di trovare il lavoro dei propri sogni. Ma ancora prima di trovare l’occupazione ideale una domanda sorge spontanea: sai cosa “vuoi fare da grande”? Già, perché può sembrare scontato e banale, ma dare concretezza a pensieri e aspirazioni che si hanno su una determinata mansione non è cosa immediata.
Per capire veramente qual è il lavoro dei tuoi sogni prova a seguire questi semplici passaggi:
- Conosci te stesso, definisci le tue ambizioni, i tuoi valori, le tue inclinazioni e potenzialità e infine le tue passioni. Per farlo puoi usare ad esempio degli strumenti di autovalutazione (detti anche test di carriera);
- Fai una lista di potenziali professioni usando carta e penna oppure un foglio Excel. Questo step è fondamentale per definire le possibili professioni che meglio si sposano con le tue inclinazioni;
- Raccogli informazioni, una volta individuate le professioni potenzialmente ideali è tempo di raccogliere su di esse quante più informazioni possibili. Informati su descrizione del lavoro e requisiti di istruzione, nonché sulle prospettive di crescita che potrebbe portare una determinata mansione.
- Fai un elenco ristretto, procedi creando una seconda lista che sia più coerente con i tuoi obiettivi di vita, si adatti di più alla tua personalità e sappia valorizzare i tuoi talenti.
Ma quanto possono contare personalità e passioni nella scelta del lavoro giusto? Uno studio intitolato “Social media-predicted personality traits and values can help match people to their ideal jobs” pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences e riportato dall’Università di Melbourne, ha messo in evidenza come sia la personalità a determinare il proprio lavoro ideale. La ricerca ha avuto lo scopo di capire se diverse tipologie di personalità siano la chiave corretta per abbinare persona e occupazione. Gli studiosi hanno preso in esame più di 128.000 utenti Twitter come rappresentati di oltre3.500 professioni differenti.
Il risultato? Il team di ricerca è riuscito a definire una sorta di ‘bussola vocazionale’ in grado di creare un ‘sistema di raccomandazioni’ capace di identificare il lavoro più adatto a ciascuna personalità. L’accuratezza della raccomandazione è addirittura superiore al 70%. Nella pratica quindi questa ricerca ha fatto emergere come, ad esempio, i programmatori di software, gli sviluppatori web e gli scienziati informatici coinvolti nell’esperimento fossero più aperti all’esperienza, a differenza dei giocatori di tennis che tendevano a essere più coscienziosi.
Una bella scoperta scientifica che potrebbe esserti di aiuto nel capire qual è il lavoro dei tuoi sogni, non trovi?
Passione e ambizione: quanto contano per trovare il lavoro ideale?
Passione e ambizione sono due concetti che potrebbero apparentemente sembrare in contrapposizione, ma che in realtà sono fondamentali nel mondo del lavoro.
L’ambizioso può essere definito come colui che vede in modo chiaro e netto l’obiettivo a cui vuole arrivare ed è in grado di trasformare questa sua visione in un progetto. L’ambizione, intesa come capacità di visualizzare con precisione il proprio futuro, diventa quindi un elemento centrale per avere successo a scuola, all’università o nei processi di selezione. Questa determinazione e focalizzazione su un obiettivo preciso contraddistinguono Linda Raimondo, la 21enne aspirante astronauta che fin da bambina ha costruito il suo percorso con un approccio progettuale.
Proprio il non desistere di fronte agli ostacoli che si trovano sul cammino è una caratteristica di coloro che sono mossi da una forte passione per un determinato tipo di lavoro. La passione ti porta ad andare sempre avanti, a non farti scoraggiare dalle difficoltà che si possono incontrare e soprattutto ti muove a cercare in tutti i modi possibili di raggiungere l’obiettivo prefissato.
In questo perfetto mix di ambizione, progettualità, vision e passione non può però mancare un altro elemento imprescindibile quando si parla di trovare il lavoro dei sogni. Quale? Ma lo studio naturalmente! In questo senso è importante non farsi condurre dal classico pensiero che solo determinati tipi di percorso di studi ti assicurano un lavoro. Parti invece pensando alle attività che ti riescono meglio e alle competenze richieste dal mondo del lavoro e cerca il percorso di studi più adatto a te.
Lasciare tutto per inseguire i propri sogni: storie di chi ce l’ha fatta
Quando una passione è grande e forte è difficile riuscire a metterla a tacere. E se inseguire il lavoro dei propri sogni impone un cambiamento radicale, di vita, questo può far paura. Ma non bisogna lasciarsi scoraggiare: sono tante le storie di persone che hanno lasciato le proprie sicurezze e certezze per fare il grande salto nel vuoto e dare voce alla propria aspirazione di vita. Alcuni esempi in questo senso? È presto detto.
- Jodi Ettemberg è stata per 5 anni un avvocato a New York. Poi un giorno ha deciso di cambiare vita e di mettersi in viaggio. E proprio grazie a questo stravolgimento Jodi ha riscoperto e trasformato in un lavoro la sua più grande passione, il cibo. Oggi ha un blog, Legal Nomads, che è diventato un punto di riferimento per gli amanti della cucina.
- Liz Carlson terminati gli studi aveva intrapreso la carriera di insegnante di lingua inglese in Spagna. Dopo aver accettato poi un lavoro d’ufficio a Washington D.C. Liz si è accorta di una tanto sopita quanto forte verità: il suo sogno nel cassetto era viaggiare, ed era giunto il momento di attuare il suo piano. E così ha deciso di mollare tutto e di partire prima per la Giordania, poi alla volta della Nuova Zelanda e di tanti altri Paesi, diventando una scrittrice itinerante molto amata e stimata.
- Chiara Feira Chios ha ottenuto una laurea in medicina e ha cominciato a lavorare come consulente in ambito sanitario. Ma ha capito ben presto che quello non era il lavoro dei suoi sogni. Dopo aver abbandonato tutto, Chiara si è iscritta a un corso di architettura di giardini, trasformando la sua passione per il verde in un vero e proprio lavoro. Oggi è consulente del verde per progettisti italiani e internazionali, e il suo nome è conosciuto sia in Europa che in Medioriente.
- Gianluca Gotto già all’età di vent’anni ha deciso di rischiare, trasferendosi prima in Australia e poi in Canada. Ma a un certo punto si è accorto che stare fermo in uno stesso luogo per molto tempo era qualcosa che proprio non gli si addiceva. E così ha deciso di inseguire il suo grande sogno, quello di trovare la felicità viaggiando. Oggi Gianluca svolge come professione quella di nomade digitale: scrive articoli e libri mentre gira il mondo. E condivide le sue esperienze di vita tramite il noto blog “Mangia Vivi Viaggia” e i suoi romanzi, fra cui “Le coordinate della felicità”.
Il lavoro dei sogni esiste e lo si può ottenere
Trovare il lavoro giusto per te, quello che ti soddisfa e che ti fa arrivare a fine giornata con il sorriso sulle labbra non è sicuramente semplice, ma nemmeno impossibile. Focalizzati sulla tua persona, comprendi quali sono le inclinazioni giuste e mettici anche un pizzico di coraggio nel fare cambiamenti di vita che ti portano a inseguire i tuoi sogni. Può essere sicuramente rischioso, ma la soddisfazione che puoi trarne alla fine non ha prezzo!
Con questo ultimo falso mito sul mondo del lavoro concludiamo il nostro viaggio e ne approfittiamo per ringraziarti per averci seguito in questo bellissimo percorso!
Laurea umanistica? Disoccupazione garantita!
Laurea umanistica, che passione!
Il nostro Paese offre sicuramente moltissime possibilità ed eccellenze in ambito universitario ma, nonostante questo, le percentuali relative ai laureati non sono mai rosee. In base al report“Education at a glance 2019”, una pubblicazione annuale dell’OCSEche fornisce una panoramica sui sistemi di istruzione dei 36 Paesi membri e di altri Paesi partner, in Italia solo il 19% dei 25-64enni ha un’istruzione universitaria, contro la media OCSE del 37%. Vanno meglio i giovani: tra i ragazzi con un’età compresa fra i 25-34 anni la percentuale sale al 28%.
Ma cosa sappiamo degli umanisti? Il report “Osservatorio Talents Venture, 2019 – La rinascita delle Lauree Umanistiche”, che monitora lo stato dell’università italiana e le opportunità occupazionali che vengono offerte ai suoi laureati, fa emergere alcuni dati significativi:
- Nell’anno accademico 2017/2018 circa 122.000 iscritti all’università frequentavano un corso ALPH (Art, Literature, Philosophy and History). Si tratta del valore più alto rispetto ai 5 anni precedenti;
- Le donne rappresentano il 65% degli iscritti a facoltà umanistiche;
- Sulla base del sistema informativo Excelsior, creato da Unioncamere in collaborazione con Anpal, nel 2018 le imprese private prevedevano di inserire nelle proprie strutture oltre 10 mila laureati provenienti dall’ambito letterario, filosofico, storico e artistico (il 2% di tutti i laureati cercati in Italia);
- Ci sono università in cui il tasso di occupazione dei corsi ALPH ad un anno dalla laurea è superiore al 70%, in linea addirittura con alcuni corsi di laurea STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Come vedono le aziende gli umanisti e qual è il futuro delle lauree “inutili”?
Se ti laurei in Lettere finirai per fare il professore. Questa era la prospettiva di carriera dei giovani neolaureati, almeno fino a qualche anno fa. Già, perché oggi il vento è cambiato e con esso anche gli sbocchi professionali per gli studenti di materie umanistiche.
Facciamo però un passo indietro e partiamo dalla classifica che il WEF (World Economic Forum) ha stilato per identificare quali saranno le Soft Skill più richieste ai lavoratori nel 2022. Fra queste rientrano:
- La capacità di essere innovativi (Innovation);
- L’apprendimento attivo (Active Learning);
- La creatività;
- L’originalità e lo spirito di iniziativa (Creativity Originality and Initative);
- La capacità di gestire un gruppo (Leadership and Social Influence).
Cosa c’entrano queste caratteristiche con le lauree umanistiche? C’entrano eccome, perché gli studenti delle materie classiche sono proprio i più propensi a sviluppare queste Soft Skill, ricercate dalle aziende. Non solo, una formazione di questo tipo favorisce lo sviluppo di carriere apicali: lo dimostra un’analisi di MarketWatch su dati PayScale che afferma come i laureati in filosofia hanno mediamente il doppio di possibilità di diventare CEO.
Le lauree umanistiche sono passate quindi dall’essere ritenute “inutili” dai più al vivere una vera e propria rinascita. Le società di oggi, infatti, hanno bisogno di figure ibride, che sappiano combinare competenze legate alla filosofia, alla retorica e alla comunicazione con conoscenze del mondo tecnologico. Degli esempi di professioni più “disruptive” dove i laureati in materie umanistiche possono dare il loro contributo? Eccone alcuni:
- I laureati in Filosofia possono trovare lavoro come Automation Ethicist (ovvero colui/colei che studia l’impatto etico e sociale dei macchinari intelligenti) in aziende che lavorano con l’intelligenza artificiale, dove vengono posti interrogativi su fino a che punto e in base a che criteri un software possa decidere autonomamente;
- I laureati in Belle Arti e Scienze Umane possono applicare le loro conoscenze teoriche nel campo dello sviluppo di software di riconoscimento delle immagini;
- I laureati in Storia, abituati ad avere un metodo di studio per i testi antichi, possono rendere operativo il loro sapere per mettere a punto una banca dati;
- I laureati in Comunicazione possono trovare facilmente lavoro in agenzie o aziende che mettono al centro contenuti per il web di qualità;
- I laureati in Sociologia sono invece molto preparati per settori come il Social Media Marketing, per via delle loro abilità nel creare una community e nell’analizzarne i comportamenti online;
- I laureati in Psicologia possono applicare i loro studi all’interno di aziende che si stanno spostando verso l’utilizzo di nuove tecnologie, in quanto questo passaggio richiede un cambiamento organizzativo che necessita di un intervento sulla consapevolezza delle persone e sul dover loro insegnare un nuovo metodo di pensiero.
I laureati in facoltà umanistiche sono quindi richiesti da aziende e in settori anche molto distanti rispetto agli studi compiuti. Ma che valore aggiunto portano questi giovani all’interno di un luogo di lavoro? Oltre alle sopra citate Soft Skill, gli umanisti hanno una spiccata intelligenza emotiva, che li porta ad avere una flessibilità mentale per cui sanno adattarsi all’interno di contesti mutevoli, oltre che a possedere prospettive visionarie e altamente innovative. Non solo: affrontano generalmente i problemi senza avere preconcetti o schematismi impostati, portando quindi in azienda una mentalità aperta e propositiva, e sono molto propensi all’ascolto e al dialogo, caratteristica sicuramente fondamentale per l’armonia all’interno di un team.
Lauree umanistiche, le storie di successo
Avere una laurea di tipo umanistico, quindi, non è limitante, a differenza di quello che molti vogliono farti credere! Questo falso mito viene smontato anche da alcuni casi reali di successo, in cui le lauree umanistiche hanno trovato la loro rivincita sociale. Di chi stiamo parlando?
- Andrea Facchini, che da laureato in Lingue e Comunicazione ha lavorato come Corporate Marketing Manager da Coca-Cola, come Marketing & Commerce Director presso Nokia, come Global Chief Marketing Officer da Amplifon e infine attualmente ha il ruolo di Head of Experience in IBM;
- Emma Walsmley, laureata in Lettere Classiche e Moderne alla Oxford University ha maturato una lunga esperienza in L’Oréal (con ruoli nell’ambito sia del marketing che della Direzione Generale), per poi diventare CEO della joint venture GSK Consumer Healthcare e infine Amministratore Delegato di GSK;
- Reid Hoffman, ha conseguito un master in Filosofia a Oxford e come progetto iniziale di vita aveva quello di entrare a far parte dell’ambiente accademico. Ben presto ha però cambiato idea, diventando un imprenditore di software che oggi è anche uno dei miliardari più influenti della Silicon Valley;
- Sheila Bair, si è laureata in Filosofia all’Università del Kansas ed è poi diventata presidente della Federal Deposit Insurance Corporation.
La rivincita delle lauree umanistiche
Insomma, avere una laurea umanistica non è poi così male! I pregiudizi da abbattere sulle lauree ALPH sono sicuramente ancora tanti, però se senti che la tua propensione è per gli studi umanistici o hai terminato un percorso di questo tipo non farti scoraggiare. Gli umanisti hanno ottime potenzialità, alcune ancora tutte da scoprire ed esplorare, sicuramente in linea con il contesto lavorativo attuale in continua evoluzione. Quindi coraggio, sfodera grinta e determinazione e fai conoscere al mondo con orgoglio la tua laurea umanistica!
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Startup? In Italia non ce la puoi fare…
Startup italiane: quante sono, in che settori e come vanno rispetto a quelle europee?
Le startup in Italia? Saranno poche, di sicuro! Ecco il primo falso mito sulle imprese di nuova costituzione pronto per essere sfatato. Già, perché le startup innovative sul nostro territorio sono oltre 10mila: a fine 2019, per essere precisi, se ne contavano 10.882, con un aumento del +2,6% rispetto al trimestre precedente e pari al 3% di tutte le società di capitali di recente formazione. Questo è quanto emerge dal report di monitoraggio trimestrale sulle startup innovative frutto della collaborazione fra Mise e InfoCamere, con il supporto di Unioncamere, aggiornato al 31 dicembre 2019.
Dove si concentrano le startup? La Lombardia ne ospita poco più di un quarto, con Milano che è l’incubatore di ben 2.075 startup. Ma la regione che ha la maggiore densità di imprese innovative è il Trentino Alto Adige: qui il 5,3% delle società costituite negli ultimi 5 anni è una startup.
Nel report vengono analizzati anche i settori delle nuove attività. Che cosa emerge a riguardo? Che il 73,7% si dedica alla fornitura di servizi per le imprese (in particolare nella produzione di software, attività di R&S e servizi d’informazione), il 17,6% opera nel settore manifatturiero, mentre il 3,4% rientra nell’ambito del commercio.
In alcuni settori economici l’incidenza delle startup innovative sul totale delle nuove società di capitali appare rilevante. È una startup innovativa l’8,3% di tutte le nuove società che operano nel comparto dei servizi alle imprese; per il manifatturiero, la percentuale corrispondente è 5,1%. Un altro aspetto interessante riguarda la composizione socio-demografica delle startup italiane: il 19,8% delle imprese innovative è a prevalenza giovanile (under 35) e il 13,5% del totale delle startup analizzate è prevalentemente femminile, cioè con quote di possesso e cariche amministrative detenute in maggioranza da donne.
Dal report dell’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con Italia Startup arrivano poi buone notizie per quanto riguarda gli investimenti nelle startup italiane. Nel 2019 infatti questi investimenti sono arrivati quasi a 700 milioni di euro, segnando un incremento del +17% rispetto al 2018. Di questi 154 milioni sono i capitali provenienti da attori internazionali, con una crescita significativa dei fondi in arrivo da Europa e Cina.
Ma come se la cava il nostro Paese nel confronto con gli altri Stati europei? StartupBlink, centro di ricerca sulle startup fondato a Zurigo dall’imprenditore Eli David, ha stilato la Startup Ecosystem Rankings 2020, una classifica appunto che analizza il panorama mondiale delle startup: l’Italia è in 25esima posizione a livello mondiale e alla 15esima in Europa per il suo ecosistema di nuove imprese. Guardando alle città, poi, Milano fa ancora una volta da capofila, posizionandosi 14esima in Europa e 62esima nel mondo per concentrazione di startup, ed è l’unica città italiana nella top 100.
L’ABC per avviare una startup
Bene, considerato il panorama delle startup in Italia e in Europa è tempo di passare in rassegnagli step fondamentali con cui dare vita alla tua nuova impresa. Ci sono diversi passaggi, tutti allo stesso modo importanti:
- Metti a fuoco perché vuoi creare una tua attività;
- Pensa a un’idea di business e validala poi per capirne il reale potenziale;
- Analizza il mercato e i competitor;
- Crea uno smoke test (ovvero un test per verificare l’efficacia della tua idea) o un MVP (Minimum Viable Product, una versione iniziale del prodotto o servizio da distribuire includendo solo le caratteristiche minime per raccogliere da subito i feedback dei clienti) per permettere alle persone di interagire con il tuo primo prodotto/servizio;
- Crea un Business Plan, ovvero un piano di come la tua azienda si evolverà dai suoi esordi fino alla realizzazione del prodotto/servizio finale;
- Trova un co-founder o un partner e soprattutto dai vita al dream team;
- Occupati della parte legale nel momento in cui hai dei costi ingenti per sviluppare la tua idea, hai investitori pronti a credere nella tua idea di business o stai iniziando a fatturare;
- Crea un pitch per trovare nuovi finanziatori per la tua startup.
“Il primo passo che abbiamo fatto è stato quello di costruire il team” dice Michele Cesario, il CEO e fondatore di ComeHome. Questo è, quindi, uno degli step essenziali nella costituzione di una startup. Ma quali sono le figure professionali strategiche immancabili per fare successo? Sono tutte sintetizzabili con degli acronimi:
- CTO (Chief Technical Officer) o direttore tecnico è colui che si occupa dello sviluppo del prodotto/servizio da lanciare sul mercato;
- CEO (Chief Executive Officer) rappresenta invece l’amministratore delegato ed è una figura trasversale che si occupa di studiare il mercato e le strategie e curare le relazioni esterne per garantire che il prodotto/servizio sviluppato sarò poi usato e comprato. Spesso il CEO è anche il fondatore della startup;
- CMO (Chief Marketing Officer) è il responsabile di marketing che struttura i piani di comunicazione e marketing sia per far vendere il prodotto che per accrescere la brand awareness della startup;
- COO (Chief Operations Officer) che invece gestisce la parte più operativa e di direzione generale;
- CFO (Chief Financial Officer) è il direttore finanziario, che segue sia la parte finanziaria che di controllo di gestione.
Startup sì, ma con che caratteristiche e di che tipo?
Individuati i ruoli chiave che devono essere presenti all’interno di una startup è ora giunto il momento di capire quali sono le principali caratteristiche che contraddistinguono questa tipologia di impresa.
- Replicabilità del business: consiste nella possibilità di ripetere il modello di business della startup in diverse aree geografiche e differenti periodi temporali;
- Scalabilità del modello: è la capacità di una startup di crescere esponenzialmente usando poche risorse;
- Innovazione intrinseca: le startup nascono per soddisfare un bisogno che ancora non è stato soddisfatto oppure per rendere manifesto un need non ancora evidente;
- Temporaneità: una startup non è tale per sempre. La definizione “startup” è infatti transitoria e rappresenta una prima fase di un percorso aziendale, si spera, di crescita e sviluppo.
Oltre alle caratteristiche è importante conoscere anche le diverse tipologie di startup esistenti. Abbiamo quindi:
- Newco, dall’inglese “new company” che significa “nuova azienda”. Questo tipo di startup nasce dalla suddivisione delle operazioni di un’azienda madre in difficoltà;
- Spin-off, quando un ramo di un’azienda viene trasformato in una realtà a sé stante. Talvolta queste startup rimangono di proprietà dell’azienda madre, mentre altre volte vengono vendute a investitori terzi;
- Startup autentiche, erano quelle degli inizi che sviluppavano attività innovative nei settori dell’elettronica e dell’informatica. I fondatori di queste startup cercavano spesso di ottenere i capitali necessari all’avvio della loro azienda tramite la cessione di una parte delle quote societarie (private equity);
- Startup innovative, ovvero un’azienda di nuova costituzione che vende prodotti/servizi ad alto contenuto tecnologico.
Le caratteristiche di una startup, per come le abbiamo viste, sono attribuibili a Steve Blank, imprenditore della Silicon Valley e autore di bestseller. Proprio Blank individua una sua suddivisione delle startup, affermando che esistono almeno 6 tipologie di aziende di nuova costituzione:
- “Lifestyle Startups: Work to Live Their Passion”. Sono startup nate per far vivere i fondatori della loro passione;
- “Small-Business Startups: Work to Feed the Family”. Qui è l’imprenditore che gestisce direttamente l’attività e che investe il proprio capitale nel business e assume familiari o persone del luogo come dipendenti;
- “Scalable Startups: Born to Be Big”. Gli imprenditori di queste startup vogliono scalare il proprio business e creare un’azienda che verrà quotata in Borsa;
- “Buyable Startups: Acquisition Targets”. Si tratta di quelle realtà il cui modello di business è costruito sull’offerta di un servizio che serve per creare delle soluzioni strategiche per grosse multinazionali esistenti;
- “Social Startups: Driven to Make a Difference”. Si caratterizzano per la volontà dei loro imprenditori di ambire a rendere il mondo un posto migliore, senza interessarsi a prendere quote di mercato o a creare ricchezza per sé stessi;
- “Large-Company Startups: Innovate or Evaporate”. Queste startup nascono dall’osservazione che il ciclo di vita di una grande azienda è finito e si è fatto anche più breve.
Finanziare una startup, quali sono i modi?
Come ogni impresa appena nata anche una startup ha bisogno di finanziatori e investimenti che possano far decollare nel più breve tempo possibile il business aziendale. Quali sono quindi le forme di finanziamento con cui puoi sostenere la tua startup?
- Le “3F”: Family, Friends & Fools. Zie benestanti, amici sempre pronti nel momento del bisogno o geniali outsider possono essere dei validi finanziatori, almeno agli inizi dell’attività;
- Crowdfunding. Una forma di finanziamento democratica, in cui le persone, attraverso apposite piattaforme web, partecipano al finanziamento di un progetto e ricevono in cambio un reward oppure acquistano un titolo di partecipazione di una società;
- Finanziamenti agevolati. Vengono emessi da agenzie statali oppure europee. A livello nazionale l’agenzia di riferimento è Invitalia, creata per incentivare la nascita di nuove imprese;
- Prestiti bancari;
- Business angel. Sono investitori privati che di solito entrano nel capitale della startup oppure possono anche supportarla con le loro competenze. Per contattarli fai riferimento ai siti delle principali associazioni italiane, come IAG e Club degli investitori;
- Venture capital. Sono investitori istituzionali che entrano nel capitale delle startup già avviate per farle crescere e rivendere le azioni entro un periodo di 6-8 anni. Investono generalmente somme rilevanti ma in cambio vogliono una struttura legale che permetta loro di influenzare le decisioni della startup e le modalità di uscita;
- Incubatori e acceleratori d’impresa. Stiamo parlando di organizzazioni che danno spazi e strumenti alla startup per avviare la sua attività. La loro richiesta è di avere in cambio una percentuale di equity.
Startup italiane, i casi di successo per investimenti
Creare un’impresa da zero non è mai semplice ma rimboccandosi le maniche, mettendoci grinta e voglia di fare, e trovando gli investitori giusti, tutto diventa possibile. Ecco, quindi, alcuni esempi di startup italiane che hanno avuto successo in termini di investimenti:
- ComeHome, la startup di Michele Cesario, ha chiuso di recente un nuovo round di investimenti, pari a 800mila euro, sotto la guida dei soci di Italian Angels for Growth (Iag) e con il crowdfunding di BacktoWork24;
- Casavo è la startup più finanziata del 2019. Ha infatti dato vita a un fundraising da 100 milioni di euro, di cui 27 milioni in equity e altri 70 milioni in debito. Tra i suoi investitori si annoverano anche Venture Capital esteri come Greenoaks Capital, Project A Ventures, Picus Capital, 360 Capital Partners, Boost Heroes;
- BeDimensional si classifica come una delle prime realtà al mondo a produrre grafene puro grazie al finanziamento da 18 milioni di euro avuto da Gruppo Pellan;
- Freeda Media oltre a essere uno dei progetti di comunicazione più innovativi degli ultimi tempi è anche una startup che ha visto investimenti per 28 milioni, di cui solo lo scorso anno 15 milioni sono stati versati da Alven, U-Start, Unicredit, Endeavor Catalyst e family office e investitori privati di spicco a livello internazionale.
Startup, perché non provarci?
Il mondo delle startup è sicuramente ampio, complesso e ancora tutto in divenire. Le sfide da affrontare sono tante e per farlo c’è bisogno di grinta e motivazione. Avere l’idea giusta, innovativa e creativa è sicuramente un buon punto di partenza ma non basta: per creare una startup di successo ci sono tanti fattori che entrano in gioco, dal team di lavoro alla ricerca di finanziatori. Per portare il tuo sogno al successo ricorda di non farti abbattere mai, specialmente da chi dice che creare startup in Italia è impossibile!
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I colloqui: non sei raccomandato? Non li passi!
Come districarsi fra i meandri del processo di selezione?
Partiamo da un assunto fondamentale: il colloquio di selezione si può tranquillamente definire interview, ovvero un’intervista volta a conoscere al meglio il candidato che si ha di fronte. Proprio la conoscenza è alla base del primo step del percorso di selezione, il famoso colloquio conoscitivo. Perché il recruiter vuole sapere di più su di te? Semplice, perché ha bisogno di fare una prima scrematura fra i profili professionali che si trova davanti. Le sue domande riguarderanno quindi aspetti come l’istruzione e l’esperienza acquisita, ma anche attitudine e Soft Skill.
Sei riuscito a fare una buona impressione al primo colpo? Complimenti! La strada però potrebbe essere ancora lunga, il processo non si chiude qui. Il secondo colloquio viene solitamente svolto con un HR o con il referente dell’ufficio in cui dovresti lavorare. Tieniti quindi pronto a dare risposte soddisfacenti su aspettative e carichi di lavoro, oltre che magari sulla retribuzione.
Come si suol dire, non c’è due senza tre. E questo può valere anche nel caso dei colloqui. Un terzo colloquio generalmente è quello determinante ed è previsto se l’azienda ha una particolare struttura gerarchica o se è alla ricerca di profili molto strutturati. L’iter conclusivo prevede generalmente l’incontro con il management che prenderà in considerazione il tuo potenziale anche basandosi su caratteristiche trasversali.
Questi tre momenti possono prevedere a loro volta fasi intermedie comprendenti prove pratiche o colloqui di gruppo, volti a valutare, da una parte, competenze e Hard Skill e, dall’altra, Soft Skill e comportamenti del candidato inserito in un contesto sociale.
Considerati gli step di un processo di selezione, è giunto il momento di prepararsi al colloquio. Quali sono gli assi nella manica da giocare per fare buona impressione ed emergere?
- Rispondi alla mail di convocazione a colloquio (ricordati di essere formale e di chiedere conferma di indirizzo, orario e data della convocazione);
- Studia l’azienda per cui hai fatto Application (qualora ti fossi dimenticato di farlo prima di mandare il tuo CV);
- Sbircia il profilo LinkedIn del tuo recruiter, se conosci il nome, così da sapere chi avrai di fronte;
- Fai tesoro di amici o conoscenti che lavorano in azienda o nel settore di riferimento, organizzando con loro delle chiacchierate pre-colloquio;
- Rileggi con attenzione l’annuncio di lavoro, il CV e la lettera di presentazione;
- Valorizza il modo in cui ti presenti al colloquio, e non dimenticare di curare outfit e standing.
Il colloquio in presenza, i segreti per superarlo
La tua candidatura ha fatto bingo e hai ottenuto il tanto desiderato colloquio, non telefonico, non via Skype bensì in presenza. Tranquillo, niente panico: il colloquio di persona è un’ottima occasione per riuscire a instaurare una certa empatia con il recruiter, che in questa circostanza sarà attento a valutare non solo le competenze presenti sul CV ma anche movimenti del corpo e atteggiamenti personali. Sai cosa diventa fondamentale a questo punto? Capire come affrontare il colloquio!
Partiamo dalle basi: quando ti viene fissato un colloquio in azienda segnati data, orario e il percorso da fare per arrivare a destinazione (per arrivare puntuale, sia chiaro!). Evita di presentarti accompagnato da genitori o amici e come abbigliamento prediligi ciò che ti fa sentire a tuo agio, considerando però sempre il contesto in cui si svolgerà il colloquio e la posizione per la quale ti sei candidato. L’essere se stessi è una costante da tenere a mente anche per l’atteggiamento: sorridi, assumi una postura composta ma non rigida e usa un tono di voce convincente ma non prevaricatore o arrogante.
E durante il colloquio in presenza come ti devi comportare? Rispondi per quanto possibile in modo esaustivo alle domande del recruiter, senza sembrare un tuttologo. Se ti vengono proposti assessment di gruppo o prove pratiche accetta di buon grado: devi essere propositivo, apparire svogliato non è di certo la strategia giusta per ottenere il lavoro dei tuoi sogni! Al termine del colloquio, se hai dubbi o curiosità sull’azienda fai domande. Prima di congedarti, ringrazia per l’opportunità concessa.
Come affrontare un colloquio da remoto?
Il periodo attuale ha portato alla ribalta una forma di colloquio finora solo parzialmente sfruttata. Stiamo parlando del video colloquio o dell’intervista telefonica. Skype, Zoom, Teams e Google Meet sono solo alcuni degli strumenti che i recruiter utilizzano per la gestione dei colloqui da remoto.
Pensi che il colloquio telefonico sia una semplice chiacchierata informale? Ti sbagli, la Job Interview telefonica rappresenta infatti un colloquio a tutti gli effetti, utilizzata sia come primo contatto fra selezionatore e candidato che, a volte, per gli step successivi. Come devi prepararti quindi per un colloquio telefonico?
- La cortesia è la parola d’ordine: rispondi in modo cordiale, professionale ed educato al tuo interlocutore, utilizzando un tono di voce e un linguaggio appropriati (non parlare velocemente, evita lunghe e imbarazzanti pause e intercalari come “cioè”);
- Niente improvvisazione, sì preparazione: se non capisci subito qual è l’offerta a cui il recruiter fa riferimento non far finta di avere chiara la situazione, piuttosto chiedi maggiori informazioni e soprattutto fai emergere il reale interesse per la posizione in questione;
- Rispondi subito o piuttosto rimanda: se puoi rispondere subito all’intervista telefonica ben venga (è segno per il recruiter di motivazione e pragmatismo) o in alternativa prova a rimandare il colloquio telefonico a un momento più tranquillo;
- Durante la telefonata cerca invece di far emergere la tua personalità: racconta quelle esperienze e skill che sono più idonee per la posizione lavorativa in oggetto. Se non sono emersi nel corso della telefonata, alla fine chiedi delucidazioni su tempistiche e next step del processo di selezione.
E se l’intervista fosse in video? Tanto meglio! Il video colloquio è un ottimo modo per far emergere le tue Soft Skill, creando un focus ancora più diretto, rispetto a un colloquio telefonico, sulla tua persona. Vuoi affrontare con successo un video colloquio? I consigli da seguire sono:
- Conoscere con anticipo quanto tempo avrai a disposizione per presentarti e raccontare le tue esperienze lavorative e di studio;
- Scegliere un ambiente idoneo, ben illuminato, senza rumori di fondo ed eventuali distrazioni;
- Fare un check delle impostazioni audio e video del tuo pc, nonché della connessione di rete;
- Fare attenzione a postura, tone of voice e mimica facciale;
- Essere puntuali e sempre se stessi, proprio come per le altre tipologie di interview.
Anche LinkedIn si sta muovendo nell’ottica di facilitare i processi di selezione, proprio attraverso una nuova funzione che vede protagonisti i video colloqui. Si chiama “video presentazione” e permette ai recruiter di testare le competenze comunicative e quelle trasversali di un candidato, ancora prima del colloquio vero e proprio, attraverso il video. Come funziona? Semplice, dopo aver valutato le Skill del candidato dal curriculum, il selezionatore può contattarlo invitandolo a rispondere a massimo due domande (come “Parlami di te” o “Descrivi il tuo progetto più impegnativo”) con un video.
Le nuove frontiere del recruiting, la Gamification
L’innovazione è un aspetto che è entrato a far parte anche del mondo della selezione del personale. Un nuovo metodo per valutare i candidati è infatti la Recruiting Gamification. Si tratta di un gioco, da svolgere online, dove i futuri dipendenti sono messi alla prova con quiz, test e minigiochi utili ai recruiter per scovare nuovi talenti sulla base delle Soft Skill che emergono da queste sfide. Di solito la Gamification viene utilizzata nelle fasi preliminari della selezione ed è utile per valutare quali candidati invitare al colloquio conoscitivo. Alcuni esempi di Recruiting Gamification?
- PWC ha creato Multipoly, una piattaforma online volta a migliorare la consapevolezza del brand e della mission aziendale agli occhi dei candidati. Il percorso diviso in due fasi prevede una prima parte online, dove il candidato vive virtualmente tutte le fasi dell’iter selettivo (dall’invio del CV fino all’assunzione) e una fisica, dove i primi 50 classificati partecipano a un colloquio di persona in una delle sedi PWC.
- Inner Island è invece il progetto di MSC Crociere che coniuga Social Recruiting e Gamification. Dopo l’iscrizione alla piattaforma tramite Facebook, i gamer si mettono alla prova con diversi livelli di gioco: da una prima fase con quiz a risposta multipla, passando per alcuni short-game per testare le capacità logico-matematiche prima dello step finale che prevede la presentazione di un’idea su come migliorare le aree tematiche che compongono il gioco.
- Hai mai sentito parlare di “Make It Real”? Si tratta del Business Game di IntesaSanpaolo volto a trovare nuovi consulenti finanziari. Il format di reclutamento, articolato in due giornate, vede i partecipanti mettersi alla prova con test individuali e di gruppo basati su business case e prove pratiche individuali. I migliori candidati si aggiudicano uno stage di 6 mesi per iniziare un percorso formativo volto al superamento dell’esame di consulente finanziario.
Affrontare un colloquio, non sempre è tutto rose e fiori
Il primo percorso di selezione che hai affrontato è stato un successo immediato? Ritieniti molto fortunato (oltre che particolarmente in gamba)! Riuscire a fare colpo subito con le proprie competenze e la propria personalità non è così scontato e semplice, ma se sei guidato da una forte passione e se sei determinato riuscirai a superare ogni ostacolo. Come facciamo a dirlo? Lo dimostrano alcuni casi celebri della storia:
- Michael Jordan era stato scartato dalla squadra di basket del suo liceo, perché all’epoca non era stato in grado di esprimere pienamente il suo talento. La sua voglia di giocare ha però avuto la meglio, rendendolo il più grande giocatore di basket del mondo;
- Steve Jobs a metà degli anni ’80 è stato licenziato dall’azienda che lui stesso aveva creato, per poi essere riassunto 10 anni più tardi, portando la sua Apple alla fama mondiale.
- Stephen King ha visto rifiutato per ben 30 volte il suo primo romanzo, “Carrie”, ritenuto un racconto di fantascienza con utopie negative, incapace di vendere. Dal libro è poi nato il film “Carrie – Lo sguardo di Satana”, considerato dall’autore stesso come il suo preferito fra quelli ispirati ai suoi libri.
- Walt Disney era stato definito dal direttore del giornale locale presso cui lavorava come una persona con una “scarsa immaginazione”. Lo stesso Disney si sarebbe poi rifatto, una volta diventato ultramiliardario, acquistando il giornale che lo aveva cacciato.
- La top model Gisele Bündchen è stata scartata da diverse agenzie di moda in Brasile, la sua terra natale, per via del naso troppo pronunciato. Senza perdersi d’animo la modella ha lasciato il Paese ed è andata alla conquista delle passerelle di tutto il mondo.
Ricevere dei ‘no’ durante un percorso di selezione è normale e fa parte del gioco: ogni colloquio ti aiuta a capire come affrontare al meglio le interview e ti avvicina al lavoro dei tuoi sogni
Continua ad ascoltare i nostri podcast per scoprire altri miti sul mondo del lavoro da sfatare.
Perché, lo “Youtuber” sarebbe un lavoro?
Italiani: digitalizzazione, presenza online e uso dei social
Se stai pensando di intraprendere una carriera come social media manager, il primo passo è capire come si comportano online gli italiani. Le domande che devi porti sono: quali sono i canali più usati? Qual è il pubblico specifico delle diverse piattaforme? Quali contenuti riscuotono maggiore successo?
Ecco alcuni dati per aiutarti a comprendere meglio il rapporto tra gli italiani e il digitale:
- Il numero di italiani connessi aumenta di anno in anno, le persone online sono quasi 50 milioni e quelle attive sui social circa 35 milioni;
- Cresce sempre di più anche il tempo trascorso online, arrivando a una media di 6 ore al giorno. A trattenere tanto tempo gli utenti davanti allo schermo sono soprattutto serie tv, film in streaming e social;
- In media ogni utente possiede 7,8 profili
Ma parlando di piattaforme, quali sono quelle più popolari?
- YouTube è in vetta alla classifica, conta l’88% degli utenti, in prevalenza uomini;
- Seguono poi Facebook e le sue app Instagram e WhatsApp con una buona distribuzione tra uomini e donne;
- TikTok merita, invece, una menzione a parte: nel 2019 è stata la seconda app più scaricata al mondo. In Italia la sua audience è triplicata nel giro di pochi mesi, arrivando a 4 milioni di utenti a novembre 2019. Nonostante possa sembrare una piattaforma per giovanissimi, la crescita ha coinvolto indistintamente diverse fasce di età (25-34enni +258% e over 35 +201%);
- Per gli amanti del gaming è Twitch ad avere la meglio: piattaforma di live streaming che nel 2020 conta 784 miliardi di minuti guardati dagli utenti e 2 milioni di streamer mensili a livello globale.
E se ti stai chiedendo cosa cercano gli italiani online, la risposta è intrattenimento: il 92% preferisce contenuti video e il 34% vlog, ovvero blog sotto forma di video; il 57% ascolta musica in streaming, il 39% web radio e il 23% podcast.
Youtuber di professione
Se i video sono la tua passione, allora potresti cimentarti come Youtuber. Si tratta di un lavoro vero e proprio e anche la Treccani ne riconosce l’importanza, definendo questa figura come “persona, di solito giovane, iscritta alla comunità del sito di condivisione YouTube, che carica video originali in cui si esibisce in una sorta di spettacolo personale… ottenendo talvolta popolarità e successo commerciale”. Riuscire a guadagnare con YouTube sarebbe sicuramente fantastico, ma non credere che sia facile:
- Studia la piattaforma, cerca di analizzare quali sono le tematiche che interessano maggiormente al tuo target di riferimento e quali sono i format che hanno più successo. Lasciati ispirare da chi ce l’ha fatta e individua la tua nicchia;
- Informati e approfondisci le tematiche legate alla strategia creativa e impara tutto quello che c’è da sapere sull’ottimizzazione, per cercare di rendere i tuoi contenuti più visibili;
- Collabora con altri videomaker o assicurati di avere tutta l’attrezzatura necessaria per girare i tuoi video in autonomia. Per iniziare non è necessario usare una videocamera professionale, l’importante è saper sfruttare gli strumenti a tua disposizione;
- Pianifica in anticipo il calendario delle pubblicazioni, così da avere il tempo di postprodurre il contenuto e montarlo.
YouTube offre buone possibilità di guadagno per chi vuole affermarsi sulla piattaforma. Oltre a contenuti sponsorizzati da parte di brand e aziende, infatti, è possibile fare richiesta per aderire al programma partner che ti permette di accedere a diverse funzionalità di monetizzazione, come entrate derivanti da annunci pubblicitari, funzioni Superchat o abbonamenti al canale.
Da grande voglio fare… l’Instagrammer
Instagram rientra sicuramente tra i preferiti dagli italiani. Potrebbe sembrare facile, ai più, riuscire ad avere successo su questa piattaforma, ma non credere che sia tutto oro quello che luccica. I continui aggiornamenti dell’algoritmo, le sempre nuove funzionalità e la crescente moltitudine di contenuti rende sempre più difficile riuscire a emergere. Se credi che la tua vera vocazione sia essere un Instagrammer è bene che ti prepari con attenzione e che ti armi di pazienza:
- Scegli una nicchia, qualcosa che ti appassiona e di cui parlare con i tuoi follower;
- Studia quello che vuoi comunicare attraverso il tuo feed, ancora prima di pubblicare la tua prima foto individua lo stile del tuo profilo;
- Se vuoi occuparti anche della composizione degli scatti non lasciare nulla al caso, familiarizza con macchina fotografica e smartphone e segui corsi di fotografia. Lo stesso vale per la postproduzione. Puoi scegliere anche di avvalerti del supporto di fotografi di settore;
- Quando apri il tuo profilo, scegli account aziendale o Creator, in questo modo avrai accesso ai dati statistici dei tuoi contenuti;
- Quando pubblichi una foto fai attenzione al copy, utilizza parole che suscitino emozioni o creino connessioni con i tuoi follower, invitandoli a interagire, e scegli bene gli hashtag;
- Una volta che la tua follower base inizia a crescere, coltiva le relazioni con i tuoi contatti. Per avere successo non conta quanti utenti ti seguono, ma il loro coinvolgimento!
Lavorare su Instagram porta guadagno? La risposta è sì, a patto che tu riesca a spiccare tra i tanti social addicted. Ti sarà capitato di imbatterti in post con #ADV o #sponsored, ecco questi sono contenuti sponsorizzati e retribuiti da brand che vogliono raggiungere un pubblico più ampio. Non solo, puoi partecipare a programmi di affiliazione, ottenendo una percentuale sulle vendite di alcuni prodotti o offrire ai tuoi follower servizi a pagamento, come corsi online o ebook.
Come vincere la challenge per diventare un TikToker?
Tra le piattaforme che stanno vivendo un vero e proprio boom troviamo TikTok, che si sta affermando in Italia con una velocità fuori dal comune. Se vuoi cavalcare l’onda del successo di questo canale e diventare un TikToker professionista non lasciarti scoraggiare da chi ti dice che si tratta solo di una bolla pronta a esplodere: tentar non nuoce!
- Studia quali sono le funzioni del canale e quali possibilità offre, familiarizza con gli effetti per i video e approfondisci le tue conoscenze in tema di produzione e postproduzione;
- Individua le tendenze nazionali e internazionali, non smettere mai di informarti e di guardare quello che succede intorno a te e sul tuo feed;
- Partecipa a challenge e riproduci i trend, ma non dimenticare di creare video originali.
Se vuoi monetizzare la tua attività su TikTok ci sono diverse soluzioni:
- L’app è nata con un sistema di guadagno nativo, che si traduce in un meccanismo basato su donazioni e monete acquistabili e spendibili sulla piattaforma. Gli utenti possono quindi acquistare monete e spenderle sul canale, anche per inviare regali ai propri profili preferiti. Tramite regali da altri utenti è possibile ottenere anche i cosiddetti diamanti, una valuta che può essere tramutata in denaro reale. Se hai più di 1.000 follower, ad esempio, i tuoi seguaci possono inviarti regali durante una live;
- Per supportare i creator, TikTok ha lanciato in beta e solo negli USA il Creator Fund, per pagare direttamente i TikToker per i loro contenuti;
- Le aziende sono sempre alla ricerca di personalità da coinvolgere per raggiungere un pubblico più vasto. Anche su TikTok potresti quindi collaborare con brand per la sponsorizzazione di contenuti o la partecipazione a challenge.
Gaming che passione: essere un Twitcher
Come scrive il team di Twitch “trasmettere in streaming non è solo sinonimo di giochi e divertimento, ma anche di duro lavoro”. Se pensi che i videogame sono solo un passatempo ti sbagli, grazie a questa piattaforma la tua più grande passione può trasformarsi nel lavoro dei sogni.
- Quello che ti serve è, sicuramente, tanta motivazione: se vuoi diventare uno streamer la competizione è tanta;
- Prima di iniziare sperimenta, esercitati nell’arte dell’oratoria e dell’intrattenimento, assicurati di saper improvvisare e di riuscire a riempire i vuoti durante la diretta;
- Assicurati di avere tutta l’attrezzatura adatta, partendo dalla consolle di gioco fino al microfono;
- Pianifica con attenzione le tue live, mantieni le stesse fasce orarie e una durata minima: pensa che molti professionisti vanno in onda dalle 4 alle 8 ore più volte a settimana;
- Divertiti e fai in modo di trasmettere la tua passione, non rendere chi ti guarda un semplice spettatore passivo, ma impara a coinvolgerlo.
Twitch mette a disposizione degli streamer un programma affiliati, per permettere di guadagnare attraverso la piattaforma: in questo modo potresti accettare gli abbonamenti dei tuoi spettatori e consentire il tifo suoi tuoi canali, permettendo a chi ti guarda di sostenerti attraverso i bit, una moneta virtuale. La condizione di affiliato ti permette inoltre di guadagnare attraverso la vendita di giochi o elementi di gioco.
La vita da freelance dei social influencer
Diventare un professionista dei social significa il più delle volte lavorare come freelance, ovvero come lavoratore indipendente che offre le proprie competenze e i propri servizi a società o organizzazioni. Qual è il principale vantaggio di questa soluzione? Sicuramente l’autonomia: sei tu a definire i tuoi orari e a concordare con le aziende con cui collabori le scadenze. Non credere però che sia tutto rose e fiori: tra deadline, vincoli contrattuali, consegne e fatture potrebbe essere difficile rispettare i giusti ritmi e staccare la spina quando necessario. Soprattutto dovrai abituarti a entrate variabili e non sempre garantite.
Insomma, i social possono essere un passatempo, ma anche una fonte di guadagno! Continua ad ascoltare i nostri podcast per sfatare altri falsi miti sul mondo del lavoro.
Gli stage? Sfruttamento legalizzato
Stage in Italia, cosa dice la normativa
Devi sapere, innanzitutto, che il tirocinio è soggetto a delle regole ben precise e disciplinato da leggi ad hoc, volte a tutelare tutti i soggetti coinvolti: diffida quindi da chi ti dice che le aziende fanno degli stagisti ciò che vogliono!
È proprio la normativa a definire, con attenzione, il termine stage: non si tratta di una vera e propria esperienza lavorativa, bensì formativa, che prevede l’inserimento temporaneo in azienda. L’obiettivo del tirocinio, quindi, è quello di permetterti di imparare sul campo, avendo la possibilità di entrare in azione e vedere dall’interno come funzionano i processi aziendali: in questo modo il soggetto ospitante ha l’opportunità di conoscerti non solo attraverso il CV, ma con la pratica.
Entriamo più nel dettaglio, cercando di individuare i punti salienti della legislazione italiana a riguardo e rispondere alle principali domande sullo stage. L’articolo 18 della Legge 196/1997 regola in via generale quelli che sono i tirocini formativi e di orientamento; per capire, invece, quali sono le ultime linee guida bisogna guardare all’accordo emanato durante la Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano (25 maggio 2017):
- Innanzitutto, cos’è lo stage?
Un tirocinio è un accordo tra 3 soggetti, tirocinante o stagista, ospitante, ed ente promotore;
- Quanto può durare uno stage?
Il tirocinio può avere una durata massima di 12 mesi (fanno eccezione i soggetti disabili, per cui la durata aumenta a 24 mesi, e i tirocini rivolti a studenti) e una minima di 2 mesi;
- E se hai già lavorato nella stessa azienda?
Chi ha avuto, negli ultimi 2 anni, un rapporto di lavoro con l’azienda non può svolgere uno stage nella stessa (fa eccezione il lavoro occasionale per non più di 30 giorni);
- È vero che le aziende possono assumere eserciti di stagisti?
Assolutamente no, il numero di stage attivabili in contemporanea dipende dal numero di dipendenti assunti dall’azienda (es. aziende con più di 20 dipendenti è possibile attivare stage per il 10% dello staff).
- Durante uno stage si impara davvero?
Certo, l’azienda deve assegnare un tutor al tirocinante, con l’obiettivo di seguirne il percorso formativo e valutarne l’esperienza;
- È possibile interrompere un tirocinio in anticipo?
Lo stage può essere interrotto prima della scadenza, sia da parte del tirocinante sia da parte dell’azienda. Non solo, lo stagista può sospendere l’esperienza anche momentaneamente per specifiche circostanze, come la maternità. La sospensione temporanea può essere definita anche dal soggetto ospitante, per chiusura stagionale;
- Essere stagista significa lavorare senza retribuzione?
Va bene la formazione, ma anche l’aspetto economico è importante. Gli stage extracurricolari devono essere retribuiti, sulla base di quanto stabilito dalla Regione o Provincia autonoma.
- Quali requisiti deve soddisfare un’azienda per poter attivare uno stage?
Il soggetto ospitante non deve avere in corso una procedura di cassa integrazione e non deve aver effettuato licenziamenti, nell’area per cui richiede lo stage, nei 12 mesi precedenti;
- E se non viene rispettata la normativa?
A tutela di tutti i soggetti coinvolti nell’accordo sono previste sanzioni specifiche.
Gli stage in Italia: dati e opportunità
Lo stage è quindi una grande opportunità in termini di formazione, ma quanti sono quelli attivi nel nostro Paese? È veramente un’opportunità?
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblica annualmente il Rapporto sulle Comunicazioni Obbligatorie, qui puoi trovare un’interessante analisi degli stage extracurricolari e farti un’idea delle possibilità. Nel 2019 sono stati attivati, in Italia, 355mila tirocini extracurricolari (+1% rispetto al 2018), senza grandi differenze di genere: la ripartizione tra tirocinanti uomini e donne è infatti equilibrata (176mila contro 179mila). Questo dato è importante perché ti fa capire come le aziende non facciano distinzione di genere quando si tratta di esperienze formative!
Guardando, invece, alla distribuzione geografica degli stage attivati, e quindi alle opportunità che puoi avere rispetto a dove vivi, il 21% dei tirocini extracurricolari viene attivato in Lombardia (circa 1 su 5). È soprattutto Milano a trainare questo fenomeno: nel solo 2017 sono stati 31mila gli stagisti (curricolari e non) che hanno scelto questa città. Seguono, poi, Veneto, Lazio e Piemonte. Ad ogni modo, nel Nord Italia si concentrano il 55,7%delle opportunità di stage.
A sfatare il mito dello stage come sfruttamento senza possibilità di evoluzione, ci pensa il dato dei rapporti di lavoro attivati a seguito di un tirocinio: nel 2019 sono stati 129mila gli stage che si sono trasformati in collaborazioni strutturate, in linea con l’anno precedente.
In quali settori puoi avere maggiori opportunità? Nel 2019 il 76,6% dei tirocini è stato attivato nel settore dei servizi (che comprende trasporti e commercio). Seguono poi l’industria (21,7%), gli alberghi e i ristoranti (11,6%), la Pubblica Amministrazione (11,1%), gli altri servizi pubblici, sociali e personali (6,5%) e il settore agricolo (1,7%).
Ma qual è l’età media di un tirocinante? Meno di 35 anni. Il 47,9% ha meno di 25 anni.
Scegliere di fare uno stage in Europa
Ti stai guardando intorno e sogni un’esperienza di formazione fuori dai confini nazionali? Nel caso di stage europei non esiste una normativa univoca: ogni Paese, infatti, ha le proprie leggi e regole.
Quasi tutte le nazioni europee prevedono, comunque, sia stage curricolari che extracurricolari, proprio come in Italia (fa eccezione la Francia, dove il tirocinio è solo curricolare).
Sei uno studente? Nel caso in cui volessi candidarti per uno stage curricolare all’estero, è importante tenere in considerazione che nella maggior parte dei Paesi UE questo si basa su un accordo tra soggetto promotore, ente ospitante e studente e prevede la presenza di un doppio tutor (del soggetto ospitante e dell’organismo di istruzione). In generale, anche all’estero come in Italia non c’è obbligo di retribuzione (eccezione anche in questo caso la Francia, che retribuisce i tirocini più lunghi di 2 mesi). Differenze sostanziali riguardano le modalità di attivazione e la documentazione necessaria: informati sulle condizioni della nazione in cui vorresti andare.
Se invece sei interessato a uno stage extracurricolare, questi si dividono in 2 categorie:
- Tirocini Open Market: si basano sul rapporto tra ospitante e stagista, senza una terza parte. La normativa che regola questi stage cambia in base al Paese di riferimento, in alcune nazioni questi tirocini non sono ammessi (come ad esempio in Italia, Croazia e Francia).
- Tirocini ALMP (Active Labour Market Policy): programmi spesso finanziati da fondi pubblici, dedicati ai disoccupati. Diversamente dagli stage nel libero mercato, questi sono regolamentati e coinvolgono un soggetto promotore (istituzione pubblica).
Nonostante non esista una regolamentazione unica, il Consiglio dell’Unione Europea ha pubblicato la Raccomandazione del 10 marzo 2014 su un Quadro di qualità per i tirocini, cercando di intervenire per migliorare la qualità delle esperienze extracurricolari, soprattutto Open Market.
La via per il successo inizia spesso con uno stage
Se ancora non sei convinto al 100% del fatto che lo stage possa essere un’esperienza distintiva, sia a livello personale che per il tuo CV, ecco alcuni personaggi di spicco che, prima di dare il via alla propria carriera, hanno affrontato un tirocinio!
- A Steve Jobs fu offerto uno stage estivo alla Hewlett-Packard (HP), qui incontrò Steve Wozniak.
- Jodie Foster ha provato a trovare la sua strada nel mondo della carta stampata. Dopo uno stage presso la rivista Esquire ha capito che questa non era la sua vocazione.
- L’attore John Krasinski è ormai conosciuto per le sue doti come star e regista. Sappi però che ha mosso i primi passi nel mondo del cinema come stagista addetto ai copioni del programma Late Night With Conan O’Brien.
- La più grande star della TV americana, Oprah Winfrey, ha iniziato la sua carriera facendo uno stage presso un’emittente di Nashville, la WLAC-TV.
- Anche lo stilista Tom Ford ha dovuto affrontare la gavetta: ha iniziato a lavorare nel mondo della moda con uno stage presso l’ufficio stampa parigino di Chloé.
Continua a seguire i nostri podcast per scoprire quale sarà il prossimo falso mito da sfatare!
Anno sabbatico? Allora non hai voglia di lavorare…
La cultura dell’anno sabbatico in Italia e in Europa
Il nostro viaggio per sfatare questo falso mito parte da molto lontano, ovvero dalle origini dell’espressione “anno sabbatico” che sono da ricercare nella cultura ebraica. Nell’antica tradizione ebraica, infatti, l’anno sabbatico era il periodo in cui si lasciava riposare la terra in onore di Dio e, per l’occasione, venivano condonati i debiti e liberati tutti gli schiavi. Nel tempo, il termine ha poi assunto il significato odierno, ovvero di periodo “di lungo riposo” che, per alcuni nel nostro Paese, è inteso con accezione negativa… Eppure, in altri contesti europei e non, è quasi un obbligo! Ad esempio, hai mai sentito parlare del “modello svedese”?
Si tratta del diritto da parte dei dipendenti svedesi, con contratto a tempo indeterminato, di richiedere un periodo sabbatico di 6 mesi per realizzare un proprio progetto o magari per dedicarsi allo studio di una lingua o di una particolare materia. Allo scadere di questo periodo, i dipendenti potranno tornare in azienda e riprendere il proprio percorso esattamente da dove lo avevano lasciato.
Insomma, è proprio vero, “Paese che vai, usanza che trovi”. Questo modello sembra dare i suoi frutti dato che la Svezia è uno dei Paesi europei con il più alto tasso di innovazione!
L’anno sabbatico alle scuole superiori
Quando si parla di anno sabbatico, però, non tutti sanno che questo può essere di due diverse tipologie: lavorativo o scolastico.
Il periodo “sabbatico scolastico” altro non è che un Erasmus a cui si può partecipare durante il periodo delle superiori. Negli ultimi anni sta aumentando la consapevolezza, da parte dei genitori, dell’importanza del Gap Year nel percorso formativo dei propri figli tanto che nel 2018 ben il 6% degli studenti delle scuole superiori ha trascorso un periodo di studio all’estero.
Vivere lontano da casa per così tanto tempo, in età adolescenziale, è senza dubbio un’esperienza che ti apre la mente, nonché altamente formativa sotto molteplici aspetti:
- Personale, perché ti ritrovi a confrontarti con persone di culture e tradizioni differenti dalla tua.
- Accademico, perché hai la possibilità di apprendere nuove conoscenze in una lingua diversa dalla tua.
- Professionale, perché in questo modo hai la possibilità di arricchire il tuo CV con un’esperienza che indubbiamente salterà agli occhi del recruiter più attento.
Solitamente la durata di questo periodo di studio all’estero varia dai 3-4 mesi fino a un massimo di un anno e possono partecipare gli studenti dal 3° al 5° anno della scuola superiore, anche se il momento migliore per partire rimane il 4° anno.
Se arrivato a questo punto stai pensando che il Gap Year durante le superiori sia solo l’ennesimo momento di svago per studenti svogliati, beh sappi che ti stai sbagliando di grosso!
Non solo ogni studente è seguito da un tutor in loco che ha il compito di supportarlo dal punto di vista personale e accademico ma, in alcuni casi, al rientro dall’anno sabbatico il ragazzo potrà dover affrontare un colloquio su materie e attività svolte. Non proprio un gioco da ragazzi, cosa ne pensi?
Poi ovvio… Vivere l’esperienza non basta, bisogna saperla raccontare e farla fruttare al meglio.
Come valorizzare l’anno sabbatico
Sia che tu abbia vissuto un anno sabbatico in età scolare, sia che abbia scelto di prenderti una pausa dal percorso professionale già avviato, con la conseguenza del famoso “gap” nel CV, dovrai essere molto abile in fase di colloquio nel trasmettere tutte le emozioni, le sensazioni e le conoscenze apprese e perché no, i fallimenti durante tale periodo perché queste pause rappresentano un potenziale enorme, da valorizzare al meglio.
Ecco qualche esempio:
- Se durante il sabbatico hai dedicato il tuo tempo allo studio, cerca di mettere l’accento sull’importanza che per te ha la formazione, sulla tua voglia di imparare e migliorarti continuamente.
- Se, invece, in questo periodo hai preferito viaggiare per esplorare nuovi continenti, sarai sicuramente una persona curiosa e avrai avuto modo di affinare la tua capacità di pianificazione e gestione del budget e, con tutta probabilità, messo alla prova il tuo spirito d’adattamento in molteplici situazioni che, talvolta, potrebbero averti messo in difficoltà. Racconta come ne sei uscito.
Non dovrai far altro che trovare la giusta chiave di lettura per far sì che il tuo anno sabbatico diventi una storia di successo!
Come l’anno sabbatico ti cambia la vita: storie dal mondo
E a proposito di successo, non potevano terminare questo approfondimento senza prima raccontarti alcune storie di personaggi che, grazie al periodo sabbatico, sono riusciti a rivoluzionare la propria vita… e in alcuni casi anche quella degli altri!
- “Ho uno studio di design a New York. Ogni 7 anni lo chiudo per un anno per portare avanti qualche piccolo esperimento, cose altrimenti difficili da fare durante il regolare anno lavorativo. È un periodo fantastico e molto dinamico”.
Queste sono le parole che Stefan Sagmeister ha pronunciato durante un Ted Talks, in cui ha raccontato la filosofia della sua azienda e i benefici che l’anno sabbatico ha portato al suo business: un servizio di qualità superiore, stimolato da una ritrovata circolazione di idee, che gli ha permesso di aumentare i prezzi sul mercato incrementando le entrate sul lungo periodo.
- “Vai da qualche parte dove puoi mettere un po’ di distanza tra te e il tuo ambiente quotidiano. Anche se non sviluppi un’app, anche se solo ti godi il tempo trascorso in un posto bellissimo, i benefici continueranno molto a lungo”.
Piacevolmente impressionato dalla filosofia di pensiero di Sagmeister, Winston Chen decide di prendersi un anno sabbatico da passare oltre il Circolo Polare Artico con la propria famiglia, lasciandosi alle spalle una carriera a Boston ben avviata. Cosa succede? Circondato da nuovi stimoli e grazie al tempo ritrovato per se stesso, si reinventa e dà vita a “Voice Dream Reader”; un’app per la lettura di contenuti ed E-Book che è in grado di trasformare le parole scritte in testo parlato e che oggi conta centinaia di migliaia di utenti nel mondo e ha un valore di 1 miliardo di dollari.
- “Viviamo in una società frenetica, che ci spinge a etichettare tutto e tutti velocemente. Non siamo più persone, siamo etichette. Ma a ben pensarci, cosa ci definisce davvero? Viaggiando ho trovato una risposta: niente ci definisce meglio di ciò che ci rende felici”.
Esperienza diversa quella di Gianluca Gotto, un ragazzo come tanti che al termine delle scuole superiori si iscrive all’università quasi come se questa fosse l’unica cosa che potesse scegliere… si accorge presto che, però, il percorso intrapreso non lo rende felice per cui si fa coraggio e decide di lasciare tutto e partire alla ricerca della sua felicità dall’altra parte del mondo. Oggi Gianluca è un nomade digitale e si guadagna da vivere grazie al suo blog “mangia, vivi, viaggia” e a delle collaborazioni digital per alcuni clienti che segue come freelance.
Insomma, concedersi un anno sabbatico può giovare davvero alla tua vita, sia personale che professionale, ma se non ne sei ancora del tutto convinto ascolta il nostro podcast “Anno sabbatico? Allora non hai voglia di lavorare…”: con noi per questa puntata ci sarà Riccardo Caserini, Senior Manager di LinkedIn!
Nessuno legge il mio CV
#1 Una foto inadeguata
“Accertati che il tuo aspetto esteriore sia una buona immagine riflessa del tuo aspetto interiore” diceva il grande Jim Rohn, uno dei più grandi Business Philosopher d’America e mentore di personaggi illustri come Tony Robbins e Brian Tracy, e noi non potremmo che essere totalmente d’accordo con questa sua affermazione.
Prima ancora di iniziare a scrivere il curriculum, cerca di ritagliarti del tempo per scegliere con cura un’immagine che ti rispecchi e che faccia percepire al recruiter la tua professionalità, nel caso in cui ti stia candidando per un ruolo manageriale, la tua personalità, nel caso in cui la candidatura sia per una posizione più creativa, oppure la tua serietà sul lavoro se, ad esempio, questo dovesse riguardare una posizione più operativa.
Non tutte le aziende richiedono l’inserimento di una foto all’interno del curriculum ma, laddove necessaria, ricordati di prediligere uno scatto professionale, possibilmente con uno sfondo neutro. Qualche consiglio? Innanzitutto, tieni a mente che la foto del CV deve essere un primo piano o mezzo busto su sfondo neutro. Non sono contemplati selfie, foto di gruppo tantomeno foto in costume.
D’altronde, andresti mai al lavoro in costume da bagno? A meno che tu non faccia il bagnino di salvataggio, speriamo la risposta sia no.
#2 Gli errori grammaticali
“Scelgo una persona pigra, per fare un lavoro difficile, dato che una persona pigra troverà un modo facile per farlo” e se a dirlo è Bill Gates, l’uomo che è riuscito a costruire da zero la più grande software house al mondo, non possiamo che convincerci che in alcuni casi anche la pigrizia paghi… Ma sicuramente mancare d’attenzione durante la rilettura del CV non gioverà al tuo futuro!
Se l’inserimento della foto all’interno del curriculum non è obbligatorio, il rispetto della grammatica italiana lo è, specialmente se sei madrelingua.
Uno degli errori più comuni che si fa è proprio quello di non prestare particolare attenzione durante la rilettura del CV, una volta terminata la compilazione dei vari campi, rischiando di tralasciare qualche refuso e fare un’impressione negativa al recruiter.
Se hai impiegato molto tempo a scrivere e rileggere un contenuto, potresti non accorgerti di eventuali errori commessi. Ti consigliamo quindi di chiedere a un amico o a un familiare un proofreading: un ultimo attento check prima di inviare il tuo CV e dare slancio al tuo futuro professionale.
Minimo sforzo, massima resa!
#3 Il CV non aggiornato
“Farei 50 colloqui di lavoro e non assumerei nessuno, piuttosto che assumere la persona sbagliata”, l’hai mai sentita questa? È una delle frasi più celebri di Jeff Bezos, il padre fondatore del colosso Amazon.
Lo sappiamo che a volte aggiornare il proprio CV può essere noioso, tanto che in molti non dedicano il giusto tempo a questa attività, continuando a rimandarla, pensando che non sia poi così importante.
Beh, se anche tu la pensi così ti sbagli! Avere un curriculum aggiornato e, soprattutto, in linea con la posizione per cui ti stai candidando ti permetterà di mostrare appieno le tue competenze professionali, aumentando le probabilità di essere scelto da un recruiter (o da Jeff) e, perché no, favorendo una contrattazione migliore qualora dovessi raggiungere la fase di offerta economica.
Ovviamente non è concesso mentire sul proprio background, ma di questo parleremo nel punto successivo…
#4 La mancanza di sincerità
“È solo quando sai quello che vuoi che non prendi tutto quello che passa.” Parola di Massimo Bisotti, scrittore criticato e amato, ma su questo ha proprio ragione.
Nella vita, così come quando si scrive il proprio curriculum, è bene essere sempre sinceri e trasparenti e soprattutto avere le idee chiare, anche perché se il tuo CV dovesse spiccare tra altre centinaia di candidature e dovessi ottenere un colloquio, tutte le informazioni non veritiere che hai inserito verranno a galla.
Non temere di mostrare lacune tecniche, non si smette mai di imparare. Cerca piuttosto di far emergere la tua voglia di metterti in gioco, la tua passione, i tuoi obiettivi e la tua determinazione nel raggiungerli.
Ciò che paga, spesso, non è l’esperienza ma la motivazione!
#5 Il disordine temporale
“La precisione non è solo una sana consuetudine lavorativa, ma è anche un atteggiamento verso le persone e le cose”. Autore di questa frase è Beppe Severgnini, editorialista e vicedirettore del Corriere della Sera. Perché lo citiamo? È semplice, perché per scrivere un buon curriculum e attirare l’attenzione del recruiter non basta seguire i consigli precedenti, ma è fondamentale avere una propensione per la sequenzialità e riportare le informazioni in ordine cronologico.
È vero, non esiste una regola scritta che imponga ai candidati di indicare le informazioni relative a occupazioni o studi “dal più recente” o “dal meno recente”, ma l’importante è che queste vengano inserite seguendo una linea cronologica chiara e definita. Questo sarà, in prima battuta, indicatore di precisione e, in secondo luogo, aiuterà il recruiter a leggere in maniera più fluida il tuo curriculum, facendosi un’idea chiara del tuo percorso, della tua expertise e delle skill che possiedi o che devi ancora acquisire.
Curriculum tradizionale vs LinkedIn CV
Il nostro viaggio per sfatare il falso mito secondo cui “Nessuno legge il mio CV” non poteva che terminare con qualche pillola sul primo social professionale: LinkedIn.
È vero, oggi una delle domande più frequenti di chi è in cerca di un lavoro è “Come scrivere un curriculum efficace?”, ma spesso ci si dimentica di quanto sia importante che le informazioni racchiuse nel CV tradizionale siano coerenti con quanto riportato all’interno del profilo LinkedIn. O peggio, ci si dimentica di quanto LinkedIn sia un mezzo fondamentale nella ricerca e nella selezione di talent. Arrivato a questo punto siamo sicuri che la tua domanda sia: “Qual è la differenza tra un CV tradizionale e il LinkedIn CV?” Presto detto:
- Lunghezza: non devi necessariamente far rientrare tutte le tue esperienze, l’importante sarà sfruttare il riepilogo per mettere in luce i punti chiave che vuoi far emergere.
- Contenuti multimediali: carica, tra gli altri documenti, anche foto e video che ti permetteranno di presentare al meglio i tuoi lavori e dare risalto alle tue capacità.
- Segnalazioni: le referenze, da sempre, valgono molto in fase di selezione perché se un collega è disposto a “metterci la faccia” nel segnalarti, sicuramente lo farà solo se ti reputa una persona valida e competente. Qui i recruiter hanno la possibilità di accedere facilmente a queste informazioni bypassando la telefonata all’ex capo.
Questi che abbiamo visto sono solo alcuni consigli su come scrivere il curriculum.
Vuoi saperne di più? Ascolta la puntata del nostro podcast “Nessuno legge il mio CV”.
I social sono solo una perdita di tempo
Che cos’è il Personal Branding e perché utilizzare un “Canvas”
Non tutti sanno che i social possono essere un ottimo trampolino di lancio per la propria carriera lavorativa e per questo è importante sapere come sfruttarli al meglio anche in ottica di Personal Branding, ovvero di promozione di se stessi, delle proprie competenze, esperienze e idee.
Come vetrine della nostra quotidianità, queste piattaforme immortalano attimi della nostra vita e tratti della nostra personalità con contenuti che, se condivisi in maniera strategica, hanno la capacità di catturare l’attenzione di altre persone che come noi si trovano online e tra loro potrebbe esserci proprio anche i temuti recruiter. Tra parentesi, considera che secondo uno studio che abbiamo condotto con l’Università Cattolica del Sacro Cuore ben il 44,1% dei recruiter dichiara di aver scartato un CV in seguito a un social screening rivelatosi inadeguato: alla faccia della perdita di tempo!
Ma facciamo un passo indietro, abbiamo visto cosa s’intende con Personal Branding, ma sei sicuro di avere un’idea chiara di te stesso, delle tue competenze e di tutto ciò che sai fare e che ti differenzia dagli altri? Se la risposta è no, sappi che esiste uno strumento in grado di aiutarti a focalizzare tutte le tue peculiarità, quegli elementi che ti contraddistinguono e che contribuiscono a creare la tua immagine professionale, grazie a uno schema grafico: il “Personal Branding Canvas”. Di “Canvas” ne esistono molti, ma gli obiettivi sono sempre gli stessi:
- Organizzare le informazioni essenziali in uno schema preciso;
- Inquadrare le competenze in maniera chiara e sintetica;
- Evidenziare i punti di forza e debolezza;
- Focalizzare obiettivi precisi;
- Last but not least, acquisire una maggiore consapevolezza di te stesso.
Chiarito come costruire la tua immagine professionale, allora sei pronto per iniziare ad attuare le tue strategie di Personal Branding sui social.
Come fare Personal Branding su LinkedIn
LinkedIn, si sa, è il professional network per eccellenza e l’ambiente migliore in cui iniziare a misurare il tuo Personal Branding: ma come farsi notare?
Inizia con il prepararti un piano editoriale, settimanale o mensile, sulla base degli argomenti che ti interessano e appassionano e ritagliati del tempo per condividere il tuo punto di vista su questi: bastano poche manciate di minuti al giorno, tutti i giorni, e vedrai che pian piano le tue visualizzazioni aumenteranno.
Non trascurare poi il Networking. Collegati con personalità interessanti del tuo settore e commentane i contenuti dando voce ai tuoi pensieri: non necessariamente devi sempre essere d’accordo, spesso è proprio dal confronto e da punti di vista differenti che nascono conversazioni di valore che nel tempo potrebbero trasformarsi in interessanti collaborazioni.
Insomma, come direbbe Seth Godin “Oggi è importante distinguersi, non conformarsi […] quindi sii la mucca viola in un mondo tutto marrone!”
Come fare Personal Branding su Facebook
“Facebook è morto”, l’hai già sentita questa? Beh, contrariamente a quanto si possa pensare, Facebook è più vivo che mai e può essere un ottimo strumento per fare Personal Branding. Tieni però sempre a mente la regola d’oro che ti invita a scegliere un’immagine profilo consona e quanto più professionale possibile!
Dunque, qual è la strategia migliore da attuare su questo social per costruire la propria immagine professionale e attirare l’attenzione di professionisti e recruiter? Partendo dalla mission del caro Mark
“Give people the power to build community and bring the world closer together”, non possiamo che rispondere: sfruttare i gruppi!
Nell’ultimo periodo i post pubblicati all’interno di gruppi Facebook hanno sempre più rilevanza per l’algoritmo che, ancora una volta, premia i contenuti degli amici e quelli che generano più interazioni a discapito di quelli delle pagine. Essere presente e, soprattutto, attivo all’interno di gruppi Facebook, ti consente di metterti in contatto con persone del tuo settore, di scambiare più facilmente opinioni trasmettendo il tuo know how e condividendo contenuti rilevanti per la nicchia di riferimento, così da favorire nel tempo la tua autorevolezza.
Come fare Personal Branding su Instagram
Se su Facebook il miglior modo per fare Personal Branding è quello di sfruttare la visibilità dei gruppi, su Instagram, figlio acquisito del caro Zuckerberg, le cose funzionano diversamente.
Vuoi per le funzionalità disponibili, vuoi per la natura stessa del social che punta molto all’estetica dell’immagine, per fare Personal Branding su questa piattaforma dovrai sì curare i dettagli della bio e il tuo feed in modo che risulti armonico e coerente nella scelta dei contenuti e dei colori, ma al tempo stesso sfruttare dirette e stories per raccontare al meglio la tua professione, le tue passioni e i tuoi interessi. Da non trascurare, poi, l’importanza delle storie in evidenza che ti consentono di creare delle vere e proprie rubriche tematiche in cui raggruppare e categorizzare i contenuti così da renderli più facilmente fruibili dagli utenti.
Ti basti pensare che in Italia le iscrizioni a Instagram sono in costante aumento, anche tra gli over 35, e che secondo il Digital News Report 2020 dell’Università di Oxford gli utenti che utilizzano il social come strumento di informazione sono raddoppiati dal 2018 al 2020, con una predilezione per stories e dirette.
Come fare Personal Branding su Behance
Di nicchia, ma non per questo meno importante Behance, il social preferito di designer e creativi. Una piattaforma che consente di creare un portfolio online così da mostrare ai professionisti del tuo settore (o ai curiosi di altri mondi) i tuoi lavori e progetti più significativi.
Behance è un social network a tutti gli effetti: puoi collegarti con i professionisti che più stimi, lasciare commenti e feedback sui loro progetti e viceversa, ampliando così i tuoi orizzonti professionali. Ma attenzione, l’errore più comune che molti commettono è quello di popolare il proprio portfolio con molti progetti in un’unica soluzione, abbandonando poi il social. Beh, sappi che ogni progetto su Behance è come fosse un bigliettino da visita: se ne avessi 10 in totale li daresti mai tutti insieme alla stessa persona?
Utilizzo dei social: contenuti da evitare
Prima di lasciarti abbiamo pensato di darti un ultimo consiglio riepilogandoti quelli che sono i principali contenuti che il tuo datore di lavoro (o futuro tale) non apprezzerebbe trovare sui tuoi profili social secondo il nostro “Work Trends Study 2019”:
- Foto, video o status offensivi o inappropriati (63,2%);
- Contenuti discriminatori (32,6%);
- Condivisione di informazioni delicate sul precedente posto di lavoro, con critiche nei confronti di vecchi datori o colleghi (26,5%).
Vuoi saperne di più su come e perché i social sono importanti nella costruzione della tua immagine professionale?
Ascolta la puntata del nostro podcast “I social sono solo una perdita di tempo”.
Se non hai talento non troverai mai il lavoro dei sogni
Talento e grinta: cosa fa davvero la differenza?
Per capire quanto conti il talento in ambito professionale dobbiamo innanzitutto partire dalle basi e cercare di fare chiarezza sul significato di questo termine.
Quando si parla di talento, riprendendo anche le parole dello psicologo Luca Mazzucchelli, si intende “unadote biologicamente presente”, che può essere vista come un punto di forza oppure come un alibi. Altri, invece, lo definiscono erroneamente come la “luce negli occhi”, “la fame”, confondendolo quindi con la motivazione, con la cosiddettagrintadi cui parla la psicologa Duckworth.
Per la Duckworth la grinta “è seguire il proprio futuro, giorno dopo giorno, non solo per una settimana, non solo per un mese, ma per anni e lavorare davvero sodo per rendere il futuro una realtà. Grinta è vivere la vita come una maratona, non come uno sprint”. Dietro la grinta ci sono quindi i tuoi interessi, tutto ciò che ti appassiona e che ti motiva a svegliarti la mattinacon la voglia di imparare, di crescere e di fare sempre meglio rispetto al giorno precedente.
Grinta e talento possono senza dubbio intrecciarsi, ma spesso percorrono due binari paralleli senza incontrarsi mai, ecco perché non è raro che molti recruiter e aziende durante il processo di selezione premino i candidati che possiedono la prima.
Se hai talento puoi svolgere un determinato lavoro in maniera impeccabile, ma non è detto che tu abbia la curiosità di sperimentare nuove strade o di guardare oltre al semplice compito che ti è stato assegnato. Viceversa, se sei mosso dalla grinta hai dentro un fuoco che ti spinge a rischiare, a superare i tuoi limiti, a sbagliare, imparare e ricominciare e per molti è questo il vero valore aggiunto che un candidato dovrebbe portare all’interno di un team.
Insomma, ciò che conta davvero, spesso, sono le Soft Skill… Ma cosa sono nel concreto?
Soft Skill: cosa sono e come individuarle
Per Soft Skill ci riferiamo all’insieme di competenze trasversali che non sono “applicabili” a una particolare mansione ma che fanno parte del carattere e della personalità di un individuo.
Ad esempio, se sei un Graphic Designer devi sicuramente possedere delle competenze tecniche che riguardano l’utilizzo di programmi come Adobe Illustrator oppure Photoshop per poter svolgere il tuo lavoro, al tempo stesso, però, potrai avere un’ottima predisposizione per il lavoro di squadra ed essere in grado di stimolare anche i tuoi colleghi in fase di brainstorming per tirare fuori l’idea vincente: bene, questa è una Soft Skill.
Cambiando settore… per un manager, oltre alle competenze tecniche necessarie per ricoprire il proprio ruolo, ciò che può fare davvero la differenza nel processo di selezione sono l’intelligenza emotiva della persona, la capacità di comunicazione e persuasione e l’attitudine a relazionarsi con gli altri in maniera empatica.
Tutte queste sono considerate Soft Skill e sono sempre più richieste nel mercato insieme alla passione, all’ambizione e alla motivazione.
Come tutte le cose, però, anche queste vanno allenate!
Allenamento e impegno: come lavorare sulle proprie capacità
In base al settore e al ruolo che sei chiamato a ricoprire ci sono differenti Soft Skill che possono influire durante il processo di selezione, ma ad ogni modo il saper prendere decisioni difficili, guidare le persone, risolvere situazioni critiche, ad esempio, non sono doti innate, quanto piuttosto capacità su cui puoi lavorare e che puoi migliorare nel tempo.
Per capire come allenare le tue competenze trasversali dovrai innanzitutto scoprire quali sono le Soft Skill che ti caratterizzano e ti rendono unico, matchando le tue passioni con quello che ti riesce meglio. Per farlo ritagliati del tempo da dedicare a te stesso e non demoralizzarti se non riuscirai a trovare subito la tua strada. Prova ad appuntare i tuoi pensieri su un foglio bianco, ti aiuterà a fare chiarezza e riordinare le idee.
Una volta terminata questa “analisi preliminare” e individuati i tuoi interessi dovrai iniziare a prendertene cura, con calma e perseveranza, alimentando la tua passione e le tue capacità un po’ alla volta, tutti i giorni e per farlo dovrai darti dei micro-obiettivi, dei traguardi raggiungibili nel breve-medio termine che ti stimoleranno a proseguire l’allenamento con tenacia. Bastano pochi minuti al giorno per iniziare a coltivare un’abitudine e favorire la tua crescita professionale: ricordati sempre che, come affermava Aristotele, “noi siamo quello che facciamo ripetutamente perciò l’eccellenza non è un’azione, ma un’abitudine”.
La gestione del talento in azienda
Come dicevamo, inoltre, il talento è un po’ un’arma a doppio taglio e la gestione dei collaboratori più talentuosi da parte dell’azienda può comportare anche alcuni rischi.
Le realtà più strutturate, infatti, mettono in atto delle soluzioni per attirare, sviluppare e trattenere i talenti fatte ad esempio di hackathon, mentoring e piani di welfare che, come dimostrato dai dati, portano numerosi risultati positivi ma che, al tempo stesso, presentano diversi limiti e rischi, tra i quali l’insoddisfazione provocata dall’essere inseriti in questi programmi di crescita accelerati che non sempre rispecchiano gli obiettivi della persona.
Inoltre, stando ai dati pubblicati da Il Sole 24 Ore, è molto difficile trattenere i cosiddetti talenti in azienda, in quanto queste persone sono più propense a cambiare lavoro:
- Negli USA i giovani tra i 18 e i 28 anni hanno già avuto, in media, 7 datori di lavoro;
- In Italia il 17% dei lavoratori ha cambiato lavoro nell’ultimo anno e il 32% ha intenzione di farlo nell’anno in corso.
Considerando il costo e le energie necessarie pe attuare queste soluzioni di crescita personale e/o professionale, non è difficile comprendere perché spesso le aziende preferiscano assumere persone fortemente motivate, grintose e con la voglia di emergere, ad altre che invece, seppur di valore lato “tecnico”, potrebbero andarsene molto più rapidamente.
Le persone talentuose, quindi, possono sicuramente avere successo nella vita e raggiungere determinati obiettivi con più facilità rispetto ad altre, ma come abbiamo visto il talento, senza l’impegno e la grinta, spesso perde valore per aziende e recruiter.
Non ne sei ancora del tutto convinto? Beh, allora non ti resta che ascoltare la puntata del podcast “Se non hai talento non troverai mai il lavoro dei tuoi sogni” con lo psicologo Luca Mazzucchelli.
Se sei donna… Non sarai mai una leader!
La leadership, un talento maschileGli uomini salgono al potere, ispirano le persone, rivoluzionano società e organizzazioni, le donne no. È questo uno dei preconcetti che più crea disuguaglianze e condiziona opportunità lavorative. Scopriamo insieme perché è falso questo stereotipo.
Vieni licenziato?
Addio carriera, una macchia indelebile.Diciamoci la verità, nella vita non sempre tutto va come ci aspettiamo. Il fallimento ad esempio, così come il successo, è un evento che fa parte della nostra quotidianità e che in qualche modo siamo chiamati ad affrontare, che ci piaccia o meno. Spesso però, è proprio da questi momenti critici che possono nascere nuove e preziose opportunità.
Progettare il futuro post pandemia?
Missione impossibile per i giovani.Quanto ha inciso la pandemia sui sogni dei giovani e sul loro futuro? Ce ne parlano Maura Gancitano, filosofa e fondatrice, e Andrea Colamedici del progetto multidisciplinare Tlon. Forse sarà proprio l’antica filosofia a indicarci la strada giusta per affrontare il futuro, scopriamolo insieme.